I Franzoia

Contrasti locali

La rapida espansione degli interessi economici dei Franzoia di Colmirano finì con l'attirare le malevolenze delle famiglie concorrenti che, in alcuni casi, non esitarono a fomentare contro di loro il malcontento e le passioni campanilistiche della popolazione. Uno di questi episodi ha lasciato una traccia evidente negli atti della Podesteria di Treviso, dei Provveditori veneziani sopra i beni comunali e del Consiglio dei Dieci, supremo organo della Serenissima che vigilava sulla sicurezza della Repubblica.

Proprietà comune e proprietà privata

In epoca veneziana il territorio veneto era suddiviso tra proprietà pubblica (della Repubblica o dei comuni che ne facevano parte) e proprietà privata. Quest'ultima poteva avere origine feudale o derivare da un atto di compravendita. C'erano infine le proprietà delle parrocchie e delle chiese, il cui reddito serviva al sostentamento dei sacerdoti e alla manutenzione delle chiese stesse.
I terreni pubblici e privati potevano essere concessi in uso a chi intendeva sfruttarli come terreni agricoli, boschi o pascoli, dietro pagamento di un canone annuo di locazione, corrisposto in denaro o, più spesso, in natura.
I terreni demaniali e comunali non concessi in uso a privati erano lasciati nella disponibilità comune, e il loro uso era regolato dalle leggi della Repubblica e dagli statuti comunali.
Accadeva talvolta che i proprietari di terreni confinanti con aree demaniali o comunali se ne impossessassero usurpandoli. Il fenomeno era piuttosto diffuso e portava talvolta ad aspri contrasti, specie quando i terreni usurpati erano collocati al confine tra due comuni, oppure appartenevano a un comune diverso da quello di appartenenza dell'usurpatore. In questi casi l'usurpazione poteva anche tradursi in una disputa territoriale tra comuni confinanti.
Un contrasto di questo tipo vide protagoniste a metà del Settecento le famiglie dei Franzoia di Colmirano e dei Capodiferro di Alano e si tradusse in una disputa per dirimere la quale dovette intervenire addirittura il Consiglio dei Dieci.

Mappa del territorio trevisano del 1640. Particolare
La piazza di Alano come appariva alla fine dell'Ottocento

Lo scontro tra i Franzoia e i Capodiferro

A metà del Settecento  tra le famiglie Franzoia di Colmirano e Capodiferro di Alano si era stabilita una feroce concorrenza per diversi motivi.
In primo luogo, le famiglie erano entrambe impegnate nel settore della produzione tessile, con la manifattura dei Franzoia avviata a diventare la più importante del Trevisano, mentre quella dei Capodiferro non era alla stessa altezza. In secondo luogo, le famiglie erano in competizione tra loro per assicurarsi le concessioni di sfruttamento delle risorse idriche necessarie per i loro opifici. Infine, erano entrambe impegnate ad usurpare terreni comunali sul colle di Tessère, dove correva il confine tra i comuni di Colmirano e di Alano.
L'esatta collocazione del confine tra Alano e Colmirano sul colle di Tessère era stata già oggetto di contenzioso tra i due comuni nel 1678. Nel 1753 i terreni usurpati dalle due famiglie concorrenti erano giunti a confinare tra loro, scatenando aspri contrasti tra le famiglie stesse, tra queste e i comuni e anche tra gli stessi comuni.
In particolare, i Franzoia accusavano i Capodiferro di avere usurpato l'intera Val Morella, mentre i Capodiferro accusavano i Franzoia di avere usurpato terreni sul lato alanese del colle di Tessère e di avervi costruito due case dominicali, un "capitello" (edicola sacra) e una chiesetta. Questi ultimi due edifici costituiranno in seguito il santuario della Madonna detta delle Tessère (ovvero delle tessitrici) mentre l'area sulla quale erano sorte le due case dominicali è chiamata tuttora "le rive delle case".

Il santuario della Madonna delle Tessère (foto Andrea Collavo)

L'edicola di Tessère (al centro) successivamente completata con il propileo e le due ali neoclassiche (foto Luca Fasolato)

La causa civile a Venezia

Nell'ottobre 1753 la disputa confinaria e territoriale fu oggetto di esame da parte dei Provveditori sopra i beni comunali che convocarono in udienza a Venezia i rappresentanti dei due comuni. Il comune di Colmirano era rappresentato, tra gli altri, da Maurizio Franzoia (primogenito di Giovanni Battista, capofamiglia dei Franzoia) che esercitava a Venezia la professione di avvocato.
Nel corso della prima udienza, i Provveditori ascoltarono gli avvocati dei due comuni che svolsero le loro relazioni sui fatti. Come si usava allora, al termine della prima udienza i Provveditori si pronunciarono sulle relazioni, dichiarando più "veritiera" (termine che significava solo "più completa") la relazione di Alano e rinviarono all'udienza successiva l'escussione dei testimoni e l'esame dei fatti nel merito.
Nonostante la prima udienza si fosse limitata ad acquisire agli atti le due relazioni, mentre i fatti erano ancora tutti da accertare, gli avvocati di Alano, ansiosi di evidenziare la rilevanza del loro contributo, incaricarono l'alanese Zuanne Colao (Giovanni Collavo) di portare immediatamente al parroco di Alano una lettera nella quale dichiaravano, in maniera del tutto ingiustificata, di avere "vinto la causa a pieni voti" chiedendo al parroco di annunciarlo alla popolazione e di cantare un Te Deum di ringraziamento.
Il 2 febbraio 1754, ricevuta la lettera da Zuanne Colao, don Antonio Riva, parroco di Alano, fece suonare le campane a distesa e, raccolto il popolo in chiesa, annunciò la presunta vittoria di Alano contro Colmirano. Fece poi cantare il Te Deum e, approfittando anche del periodo di carnevale, invitò i fedeli ad "una pubblica manifestazione di allegrezza".

Venezia, Palazzo Ducale. Sala della Quarantia Civil Vecchia

I tumulti di piazza

Il maldestro suggerimento degli avvocati, attuato in modo altrettanto maldestro dal parroco di Alano, scatenò nei popolani alanesi sentimenti di rivalsa campanilistica contro "quelli di Colmirano" che, amplificato dal clima di licenza carnevalesca, si manifestarono con il suono del "campanò" giorno e notte e con la formazione di assembramenti in piazza, organizzati, come si accerterà in seguito, "da capi sediziosi" che "passavano da bere" tra i presenti.
All'imbrunire, una folla tumultuante di trecento persone, molte delle quali armate di bastoni appuntiti, forconi e archibugi, si raccolse sulle "rive" di San Vittore antistanti Colmirano e le case dei Franzoia. Dalla folla, illuminata dai falò, partirono grida, insulti e anche qualche colpo di archibugio contro le case dei Franzoia.
La mattina del 3 febbraio 1754 un gruppo di facinorosi armati portò in corteo per le vie di Alano tre fantocci che raffiguravano Maurizio Franzoia, Antonio Mazzato, meriga di Colmirano, e Pietro Gradenigo (1695-1776), patrizio veneziano in affari con i Franzoia e accusato di proteggere la famiglia. Il corteo lanciava insulti contro i tre e gridava di volerli "moschettare e bruciare".
La sera sulle "rive" di San Vittore, di fronte a Colmirano, si radunò nuovamente una folla tumultuante che, alla luce dei falò, sparò contro i tre fantocci e li bruciò, continuando a urlare insulti e, di tanto in tanto, a sparare contro le case dei Franzoia.
I disordini si ripeterono nei giorni successivi e si sopirono solo il mercoledì delle ceneri. Nel frattempo don Antonio Riva, avendo assistito all'esito nefasto delle sue iniziative, si allontanava frettolosamente da Alano, temendo conseguenze personali.

Il 2 e 3 febbraio 1754 una folla di facinorosi si raccolse in cima alle "rive" di San Vittore antistanti i palazzi dei Franzoia di Colmirano

Venezia, Carcere dei Piombi. Corridoio interno

Il processo penale a Venezia

I tumulti scoppiati ad Alano trasformarono una questione meramente confinaria e campanilistica tra comuni in una serie di atti aventi rilevanza penale che comportarono l'intervento della giustizia della Serenissima.
Il 15 marzo 1754 i Franzoia e il meriga di Colmirano denunciarono l'accaduto al podestà di Treviso che, a sua volta, dopo approfondite indagini, il 30 maggio 1755 rimise la denuncia al Consiglio dei Dieci a Venezia, indicando quali presunti responsabili dei fatti Antonio Capodiferro, Francesco Chioza, Zuanne Colao, Zuanne Cominetto, Domenico Fracasso, Bortolo Licini e Francesco Pisan. Oltre ad Antonio Capodiferro, detto "Bertesela", capo della famiglia, gli altri erano tutti uomini che avevano interessi nell'ambito delle attività tessili della famiglia Capodiferro o operavano alle sue dipendenze.
Convocati una prima volta a Venezia, gli imputati si resero irreperibili. Convocati una seconda volta, stavolta sotto minaccia di bando perpetuo dallo Stato in caso di assenza, si presentarono finalmente davanti ai giudici. 

Venezia, Palazzo Ducale. La sala del Consiglio dei Dieci
Venezia. I membri del Consiglio dei Dieci nel cortile di Palazzo Ducale

Le condanne

Dopo l'escussione dei testimoni, il collegio giudicante sentenziò la responsabilità penale di tutti gli imputati. La sentenza decretò che i disordini erano stati organizzati da Antonio Capodiferro che, con l'aiuto dei complici, aveva aizzato la popolazione di Alano contro i Franzoia e il meriga di Colmirano, grazie anche alla distribuzione gratuita di abbondanti quantità di vino.
Sancita la responsabilità degli imputati, ma non essendo accaduti fatti di sangue e non ravvisando intenzioni sovversive contro il potere costituito, il Consiglio dei Dieci li condannò alla pena pecuniaria di 280 lire veneziane da versare al comune di Colmirano e al pagamento delle spese processuali, quantificate in 456 lire. I colpevoli della sommossa dovettero così sborsare la somma complessiva di 736 lire veneziane, che all'epoca erano il controvalore di circa 1,25 chili d'oro puro.

Il Consiglio dei Dieci riunito in un dipinto di Gabriele Bella del 1725