Personaggi

Matteo Franzoia


Ritratto di Matteo Franzoia
conservato presso
il Seminario Maggiore di Padova

Matteo Franzoia nacque nel palazzo di Colmirano il 3 luglio 1734, prima che, nel 1765, la famiglia acquisisse il titolo nobiliare. 

A undici anni entrò nel Seminario vescovile di Padova, dove completò gli studi con lode.  Nel 1757 gli fu affidata la cattedra di Grammatica del Seminario  e in seguito quella di Giurisprudenza, materia che insegnò fino al 1763. Con decreto del senato veneziano del 5 dicembre 1764 fu nominato professore in secondo luogo, come si diceva allora, dell'Università di Padova con l'incarico di docente di Istituzioni civili e di Arte notarile. Sempre a Padova, nell'anno 1768 insegnò Istituzioni canoniche e dal 1769 al 1773 ricoprì la cattedra in terzo luogo di Diritto civile.

Nel 1769 l'imperatore d'Austria Giuseppe II d'Asburgo-Lorena lo insignì dello stemma di merito. Lodando la competenza e lo zelo con cui il Franzoia aveva assolto gli incarichi precedenti, con decreto del 23 maggio 1773 il senato veneziano gli conferì l'incarico di docente in primo luogo di Diritto naturale pubblico e delle genti, incarico che il Franzoia esercitò fino al 1806, quando fu collocato a riposo dal governo del Regno d'Italia napoleonico.

Fu membro e segretario dell'Accademia della Scienze di Padova (fondata nel 1599 e nota anche come  Accademia Patavina, Accademia Galileiana e Accademia dei Ricovrati) e pubblicò saggi di diritto, tra i quali "Introduzione storica ossia ragionamento", prolusione letta in occasione della prima sessione pubblica dell'Accademia svoltasi nel 1779.

In campo letterario fu autore delle traduzioni per il teatro di  alcune tragedie di Voltaire e pubblicò componimenti di circostanza, tra i quali le "Poesie pel solenne ingresso di Sua Eccellenza il signor Alvise Contarini alla dignità di proccuratore di S. Marco" (1778) e  un saggio in latino sui riti nuziali degli antichi, tradotto in italiano da Giulio Trento.

Matteo Franzoia morì nel palazzo di Colmirano il 14 giugno 1813.

A Washington, nell'archivio dei padri fondatori degli Stati Uniti si conserva una lettera datata 20 dicembre 1781 dell'Accademia delle Scienze di Padova indirizzata a Benjamin Franklin e firmata dal presidente Leopoldo Caldani, dal Segretario per le scienze Matteo Franzoia e dal Segretario per le lettere Melchiorre Cesarotti, nella quale si comunica la nomina di Franklin a membro onorario dell'Accademia. La lettera fu consegnata a mano a Franklin da Daniele Dolfin, ambasciatore della Repubblica Serenissima a Parigi, in occasione di un soggiorno dell'eminente statista americano nella capitale francese.

Stemma di merito conferito nel 1769 dall'imperatore d'Austria Giuseppe II d'Asburgo Lorena all'abate e conte Matteo Franzoia per meriti scientifici e accademici (dipinto su tavola, collezione privata)

L'offensiva dei detrattori

Matteo Franzoia, oltre a quelli per il diritto canonico, coltivò interessi per la politica, la letteratura e la mondanità del suo tempo. Per le sue idee liberali fu oggetto di denunce anonime agli inquisitori di stato veneziani, con particolare riferimento alla sua assidua frequentazione del salotto padovano di Leopoldine de Ferri von Starhemberg, all'epoca luogo d'incontro di massoni e "liberi pensatori" di tendenze giacobine

Fu anche stigmatizzato dai critici per la propensione che aveva, lui abate, per il bel mondo più che per gli esercizi spirituali. E fu accusato anche di scarsa religiosità. Dovette soffrirne a tal punto dal sentirsi in dovere di svolgere un'autodifesa nell'introduzione che egli scrisse alla sua traduzione della tragedia di Voltaire "Alzira".
Scrive Franzoia (il testo è tradotto dall'italiano dell'epoca):

"Io fui trattato in venti libelli da uomo senza religione; e una delle più belle prove che si sono allegate è che nell'Edipo - tragedia di Voltaire tradotta dal Franzoia (ndr) - Giocasta dice questi versi: "I preti non sono quello che pensa il popolo vano: la nostra credulità è tutta la scienza che hanno".
Quelli che mi hanno mosso questo rimprovero sono almeno altrettanto ragionevoli  - leggasi: altrettanto sciocchi (ndr) - di coloro che hanno stampato che l'Endriade - altra tragedia di Voltaire  tradotta dal Franzoia (ndr) - in molti punti sapeva di Pelagianesimo - dottrina eretica (ndr).
Si rinnova spesso questa crudele accusa di irreligiosità perché è l'ultimo rifugio dei calunniatori. Come rispondere? Come consolarsi se non richiamandosi alla memoria l'immenso numero di quei grandi uomini che da Socrate a Cartesio sono stati il bersaglio di questa atroce impostura? Io non farò qui che una sola richiesta; domanderò chi ha più religione, se il calunniatore che perseguita o il calunniato che perdona".

Ma i detrattori di Matteo Franzoia non vanno cercati solo tra i libellisti. Nei "Cenni biografici sui membri scomparsi dell'Accademia padovana delle scienze", l'anonimo autore (membro dell'Accademia) di quella che avrebbe dovuto essere una celebrazione di circostanza giunse persino a stigmatizzare l'elogio del Franzoia scritto dopo la sua morte dall'Abate Francesco Casamatta di Quero, suo intimo amico, scrivendo che l'elogio stesso era esagerato. Così scrisse l'anonimo membro dell'Accademia: 

"L'elogista del Franzoia volle un po' troppo servire alla di lui memoria quando scrisse che "la fondazione, creazione e la conservazione dell'Accademia devesi all'opera del Franzoia". Vive ancora in Milano chi può dimostrare che si è voluto attribuire al defunto più di quello che convenivasi"

Padova, Palazzo Ferri, dove Leopoldine Starhemberg Ferri teneva il suo salotto culturale frequentato, tra gli altri, da Matteo Franzoia

Il frontespizio dell'Alzira di Voltaire tradotta da Matteo Franzoia

Una lettera da Colmirano

Lettera da Colmirano del 1786 con la quale Matteo Franzoia ringrazia il conte Carlo Roncalli Parolino (1721-1811), poeta bresciano, per un suo libro di epigrammi.


Colmirano, 9 Settembre 1786

Al Conte Carlo Roncalli 

Prezioso e gratissimo dono ricevo nella gentile sua ed elegante raccolta d'Epigrammi. 

Non si può, veramente, provare con più evidenza quanto sia insussistente il pregiudizio di quelli che pretendono che la nostra lingua sia meno atta della francese a prestarsi a questo genere di galanterie. Le di lei versioni mostran col fatto quanto la precisione, la forza , e la grazia dell'idioma italiano possa superare i pregi del tanto vantato idioma francese . 

Ma così è: la nazione ha preso il di sopra; e non si vuole comunemente soffrire né perucchiere, né sarto, né cuoco, né scrittore, che non sia francese. Un solo principio, o per meglio dire, un pregiudizio solo è quello che  regola tutti questi giudizi di comparazione e pare che sul fatto delle due lingue gli Italiani siano ancora più ostinati a guarire d'un tal pregiudizio, che gli stessi Francesi.

Ci vorrebbero degli esemplari come quello, ch'ella dà presentemente all'Italia, quale non manca, a mio credere, se non di coraggio e di attività, che ponga in uso le naturali sue forze e tragga miglior partito dalle sue originarie ricchezze. 

Unite ai miei vivissimi ringraziamenti ella si compiaccia d'accogliere anche le proteste di quella vera sentita stima , con cui mi pregio di essere etc. 

          Matteo Franzoia

Il frontespizio del volume degli Epigrammi del conte Carlo Roncalli Parolino (1786)

La disputa del salnitro

Matteo Franzoia fu coinvolto, suo malgrado, in un'aspra disputa che vide contrapposti l'abate Alberto Fortis, naturalista, e il conte Marco Carburi, titolare della prima cattedra di Chimica istituita a Padova.

Nel 1783 Fortis era stato accompagnato dal canonico Giuseppe Maria Giovene, arciprete, naturalista e storico di Molfetta (BA), a visitare il cosiddetto Sprofondo del Pulo. Lì aveva constatato un'abbondante presenza di salnitro (nitrato di potassio, KNO3). Si trattava di un composto che all'epoca aveva una grande rilevanza strategica, in quanto componente fondamentale della polvere da sparo (fatta appunto di carbone, salnitro e zolfo). La rarità del salnitro e la difficoltà di produrlo costringevano la Serenissima e gli altri stati italiani ad importarlo in grandi quantità dall'Olanda, da Malta e dall'America.

All'epoca si dibatteva se il salnitro fosse un minerale, e quindi se ne potessero esister in natura giacimenti sfruttabili, o se invece fosse un composto chimico che si formava per reazione tra il potassio e l'azoto atmosferico in presenza di sostanze organiche, come il letame animale. Fortis, convinto dell'origine minerale del salnitro e di averne scoperto a Molfetta un giacimento importante, ebbe un diverbio con il conte Marco Carburi, professore di chimica, che invece negava l'origine minerale del salnitro. Il confronto tra i due si svolse il 15 luglio 1789 al Caffè Pedrocchi di Padova, dove i due si incontrarono casualmente. Dopo un'accesa discussione, Fortis propose al Carburi una scommessa di cinquanta zecchini.

Per dirimere la questione, Carburi scrisse a Matteo Franzoia, Segretario per le Scienze dell'Accademia di Padova, che era presente alla discussione, esortandolo ad esprimersi a suo favore sulla questione e a comunicare le conclusioni al Fortis. Ma Matteo Franzoia preferì non entrare nella polemica e non si espresse. 

Tornando a Padova dopo una breve assenza, Fortis constatò con sorpresa che in città si parlava solo della lettera che Carburi aveva inviato a Matteo Franzoia, lettera che il Fortis sembrava essere l'unico a non conoscere. 

Nei giorni successivi i due contendenti, ciascuno alla ricerca di supporti autorevoli alla propria tesi, scrissero ai naturalisti e chimici più illustri dell'epoca: Fortis scrisse a Melchiorre Dèlfico e a Lazzaro Spallanzani; Carburi allargò l'orizzonte della disputa scrivendo nientemeno che a Jean d'Arcet e ad Antoine-Laurent Lavoisier, massimi esponenti dell'accademia parigina. Ma le risposte dei luminari non furono dirimenti e la scommessa non fu mai pagata. 

Oggi sappiamo che aveva ragione Carburi: non esistono giacimenti di nitrato di potassio. In natura il salnitro si può trovare sotto forma di efflorescenze lanuginose negli ambienti umidi dove, in presenza di materia organica, può esplicarsi l'azione dei batteri nitrificanti. Ma l'abate Fortis, forte di un incarico ricevuto dal Regno delle Due Sicilie, continuò a perseguire lo sfruttamento della "miniera" di Molfetta, andando incontro a un inevitabile disastro economico e di immagine.

L'abate e naturalista Alberto Fortis in un'incisione del Settecento

Ex-libris del conte Marco Carburi

Medaglia conferita dal senato veneziano al conte Marco Carburi