I Franzoia

Le attività della famiglia

Le attività economiche della famiglia Franzoia di Colmirano si svilupparono tra il Quattrocento e l'Ottocento in diversi settori manifatturieri, che avevano in comune lo sfruttamento dell'energia idraulica. In origine gli interessi dei Franzoia riguardarono esclusivamente la manifattura laniera, ma in seguito si svilupparono soprattutto nella manifattura serica, con investimenti anche nelle manifatture della carta e del ferro. Alle attività manifatturiere fecero da corollario gli investimenti della famiglia nel settore finanziario.

La produzione laniera

I Franzoia sono noti fin dalla metà del Cinquecento come esponenti di rilievo della fiorente industria tessile veneta. Ma operano anche in altri settori che hanno in comune l'utilizzo della forza motrice idraulica, disponibile in grande quantità nella fascia pedemontana grazie ai numerosi e abbondanti corsi d'acqua che attraversano il territorio.
Alla fine del Cinquecento i Franzoia sono una delle principali famiglie che operano nel settore tessile laniero e sono imparentati con altri grandi imprenditori del settore. Nel 1590 Fosca Franzoia, sorella del capofamiglia Zuanne Franzoia, sposa Mattio Zambelli di Pove (Bassano) e genera Zuanne Zambelli. All'epoca gli Zambelli erano i maggiori industriali del settore tessile laniero vicentino, che era il maggiore del territorio veneziano. Nel 1685, nel periodo di crisi economica della Repubblica seguito alla guerra della Morea (il Peloponneso) contro i Turchi, gli Zambelli furono in grado di pagare all'erario veneziano la cifra di 200 mila ducati d'oro (circa 40 milioni di euro di oggi) per acquisire il titolo di patrizi veneziani, entrando così nel patriziato veneto tra le "case fatte per soldo".
All'inizio del Seicento i Franzoia, seguendo la crescita della domanda interna e dell'esportazione, avevano investito nella produzione di filati e tessuti in lana, settore allora in forte espansione nell'Alto Trevigiano e nel Vicentino, mentre la manifatture dei filati e dei tessuti in seta restavano concentrate in prevalenza nella città di Venezia

L'arco in pietra nella piazza di Colmirano recante incisa sulla chiave d'arco la data 1641

La produzione serica

All'inizio del Seicento Venezia aveva riservato la produzione dei tessuti in seta di maggior valore (broccati, damaschi, velluti, veli) alle manifatture cittadine. Ma non riuscì ad impedire il sorgere di numerose manifatture seriche anche in altre aree dello stato veneto.
Queste ultime, almeno inizialmente, si caratterizzavano per produzioni di qualità medio-bassa. Per il senato veneziano, le manifatture seriche di Terraferma dovevano mantenere un ruolo ancillare, che era quello di produrre filati di seta di buona qualità che servissero per alimentare le tessiture (tessorìe) della capitale.
Le cose cambiarono quando, con l'introduzione dei filatoi meccanici azionati dall'energia idraulica (i cosiddetti "mulini da seta") si riuscì a incrementare notevolmente la produzione e, contemporaneamente, la qualità dei filati. I mulini da seta non si potevano installare a Venezia, ma solo dove esistevano risorse idrauliche sfruttabili per produrre forza motrice. La manifatture di Terraferma ebbero allora un doppio vantaggio competitivo su quelle della capitale: la produzione  massiccia di filati di migliore qualità e la produzione di tessuti a costo inferiore grazie all'energia idraulica.
Fu questo il motivo che dette impulso, a metà del Seicento, alla moltiplicazione dei mulini da seta in tutto l'arco prealpino e alla rapida transizione dalle produzioni laniere a quelle seriche. Si trattò in definitiva di un buon affare anche per Venezia. Il miglioramento della qualità del prodotto e la riduzione dei tempi di produzione che si ottenevano con i mulini da seta consentirono infatti alle manifatture veneziane di tenere testa con successo alla crescente concorrenza dell'industria serica francese, piemontese e bolognese.

Disegno di un filatoio-torcitoio ad acqua in uso nel Seicento

Lo sviluppo del territorio

La materia prima per i filatoi della fascia pedemontana era prodotta in loco attraverso l'allevamento domestico dei bachi da seta (i cosiddetti cavalieri). Le campagne del Pedemonte veneto si punteggiarono di gelsi (morèr) che sostituirono gli alberi da frutto come supporto elettivo per "maritare" le viti (all'epoca non esisteva ancora la vigna a filari), consentendo ad ogni famiglia di avviare, durante la stagione estiva, un allevamento artigianale di bachi da seta, in genere nelle soffitte delle abitazioni (i biavèr).
I bozzoli prodotti alla fine di maggio erano conferiti in grande quantità alle filande, che potevano così contare su una materia prima economica, abbondante e di buona qualità. L'allevamento dei bachi da seta, data la sua stagionalità, non divenne mai un'attività industriale. Gli stessi filatoi potevano effettuare la trattura della seta dai bozzoli solo da giugno ad agosto compresi, avvalendosi di manodopera stagionale.
Nelle filande di seta si svilupparono allora le diverse professionalità: la scoatina, il cui compito era quello di effettuare la "trattura", ovvero di estrarre, con l'aiuto di uno scopino di saggina,  i capi dei fili di seta che costituivano i bozzoli mentre questi erano a bagno in acqua bollente; l'ingropina (annodatrice) che aveva il compito di annodare velocemente tra loro i fili di seta di un bozzolo e del successivo durante la filatura; la mistra (maestra) che aveva il compito di combinare tra loro un certo numero di fili che, attraverso la torcitura, avrebbero costituito il filato di seta; il bordignon che aveva il compito di sorvegliare il corretto funzionamento del torcitoio e, in seguito, del mulino da seta.
Lo sviluppo della manifattura serica ebbe un forte impatto sullo sviluppo del territorio. Già all'inizio del Settecento un terzo dell'economia locale del Pedemonte veneto non veniva più dall'agricoltura ma dalle attività manifatturiere della lana e della seta.

Una "scoatina" al lavoro in un'incisione del Settecento. Di fronte a lei l'"ingropina" è pronta a legare tra loro i capi dei fili di seta che alimentano la macchina incannatrice., che li avvolge su rocchetti.

Le manifatture Franzoia

Nella seconda metà del Seicento i Franzoia, già affermati nella produzione di filati e tessuti in lana, iniziarono ad investire nel settore emergente della seta, commercialmente molto più ricco di quello della lana. E grazie a questi investimenti la loro azienda divenne ben presto la manifattura serica più importante del Trevisano.
All'inizio del Settecento i Franzoia possedevano un mulino da grano e un follo per panni di lana lungo il Tegorzo, nel territorio di Campo. In seguito acquisirono un filatoio e un follo per la lavorazione della lana a Valdobbiadene e costruirono un grande filatoio anche a Campo.

Nel 1765 il patrimonio della famiglia era cresciuto tanto da permettere ai Franzoia di acquisire il titolo nobiliare. Il 22 luglio dello stesso anno, il neo-conte Giovanni Battista Franzoia acquistò a Valdobbiadene uno dei tre "mulini da seta" di proprietà dei coniugi Livia Reghini e Giovanni Rombenchi, ubicato lungo il torrente Cordana. Il mulino, valutato 1800 ducati d'oro, aveva una ruota idraulica che muoveva due filatoi e un torcitoio. Vi si produceva il filato più pregiato, l'organzino, ottenuto ritorcendo insieme quattro fili di seta grezza. Nel 1771 i Franzoia ampliarono lo stabilimento aggiungendo altre due ruote idrauliche. 

Nel 1778 Troiano Franzoia, figlio di Giovanni Battista, chiese e ottenne di poter costruire lungo il Tegorzo, in territorio di Campo, un nuovo filatoio alla bolognese con quattro ruote. Nel 1783 i Franzoia acquisiscono in affitto a Feltre un filatoio di proprietà della famiglia veneziana dei Sandi. Grazie a questi investimenti le attività della famiglia crebbero notevolmente. Nel 1773 Troiano Franzoia aveva 20 fornelli attivi per la trattura della seta, che nel 1783 erano diventati 40. La produzione crebbe molto rapidamente: 6.167 libbre di organzino nel 1783, che salirono a 8.104  nel 1784 e a 8.653 nel 1785.
Grazie anche alla progressiva riconversione delle produzioni laniere, negli anni 1783-1785 la produzione totale degli opifici Franzoia di Colmirano, Campo, Valdobbiadene e Feltre fu pari a quasi 60 mila libbre di seta. Nel 1796, poco prima della caduta della Serenissima in mani francesi e poi austriache, quella dei Franzoia era la maggiore tra le manifatture seriche del Trevisano.

Ma i Franzoia continuarono a coltivare i loro interessi anche in altri settori, sempre legati allo sfruttamento della forza idraulica. Nel 1778 Troiano Franzoia acquistò dalla famiglia Rubertelli una "fusina da fabbro" posta lungo il Tegorzo nel comune di Campo e la trasformò in cartiera. In breve tempo la cartiera Franzoia si classificò tra le prime sette cartiere fornitrici del governo della Serenissima, e fu lodata dal procuratore di San Marco Andrea Tron per la qualità del prodotto.

Pila idraulica a martelli multipli per la triturazione della polpa (Vittorio Zonca, Novo teatro di machine et edifici, Padova 1621)


I Franzoia e le maestranze

I rapporti dei Franzoia con i lavoratori impegnati nelle loro manifatture sono oggetto di una lettera datata 5 dicembre 1780 nella quale Troiano e i suoi fratelli si rivolgono alle autorità veneziane chiedendo loro di impedire alle maestranze di abbandonare un filatoio per un altro "solo" perché offre un salario più elevato: "Si degnino - si legge nella supplica - a rilasciare una lettera che vieti con li più risoluti comandi alli lavoranti d'un edificio lasciare il proprio per poi stabilirsi in un altro".

Le attività finanziarie

I Franzoia avevano molti interessi anche in campo finanziario.
Il principale strumento che nella Repubblica Serenissima regolava il credito privato per somme cospicue era il "contratto di livello francabile". Con questo contratto l'investitore acquistava un bene e lo concedeva in uso allo stesso venditore a fronte del pagamento di un canone di locazione annuo chiamato "livello". Il livello annuo rappresentava l'utile riscosso dall'investitore sull'investimento effettuato. Il tasso di interesse sul quale si calcolava il livello variava tra il 4,5 e il 6% annuo.
Il contratto aveva una scadenza prefissata (ad esempio dieci anni) alla quale, se il venditore aveva pagato tutti i livelli, poteva rientrare in possesso del bene restituendo la somma a suo tempo percepita. Il contratto poteva inoltre lasciare al venditore la possibilità di recuperare ("francare") in qualsiasi momento il bene ceduto restituendo il prezzo d'acquisto e i livelli dovuti. Se invece il debitore non pagava regolarmente il livello, il contratto decadeva e l'investitore poteva disporre del bene acquistato come voleva.
Il contratto di livello francabile costituiva un miglioramento rispetto al semplice prestito su pegno o ipoteca, in quanto chi investiva acquisiva un bene per il quale aveva effettivo interesse, e inoltre perché il contratto era cedibile a terzi. Il contratto di livello francabile era, in definitiva, una forma d'investimento priva di rischi e particolarmente redditizia per chi investiva, in quanto chi vendeva aveva urgenza di denaro ed era perciò incline ad accettare un prezzo di acquisto più basso e canoni di livello più elevati.
Tra i principali fruitori di questa forma di investimento si annoveravano le congregazioni religiose. Ed è proprio con le congregazioni religiose che i Franzoia facevano affari. Un esempio si trova negli archivi della diocesi di Treviso. Con atto del 4 giugno 1774 la Reverenda congregazione dei parroci della Diocesi di Treviso aveva sottoscritto un contratto di livello con il signor Giuseppe Agrizzi di Fener per la somma di 300 ducati. Il suddetto contratto fu ceduto dalla congregazione e rilevato dal conte Troiano Franzoia con atto del 17 aprile 1787 redatto dal notaio Francesco Pontin di Quero.
Circa l'entità dell'investimento, considerando che un ducato conteneva 3,44 grammi d'oro a 24 carati, 300 ducati equivalevano a 1,032 chilogrammi d'oro a 24 carati, che alle odierne quotazioni di borsa (65 euro al grammo) equivalgono a circa 70 mila Euro.

Ducato veneziano coniato sotto Ludovico Manin, ultimo doge di Venezia, in carica dal 1789 al 1797

Un contratto di livello della fine del Settecento