Personaggi

Antonio
da Romagno

(Antonio Romagno
da Colmirano)



Antonio da Romagno (il nome corretto è Antonio Romagno da Colmirano), figlio di Vittore, nacque a Feltre nel 1360. Si formò negli studi a Belluno e a Padova e dal 1384 al 1389 esercitò la funzione di cancelliere della Comunità di Feltre.
Sposò in giovane età Bartolomea con la quale si stabilì a Formegan.
Nel 1387 dalla coppia nacque la primogenita Franceschina alla quale, negli anni successivi, fecero seguito altri sei figli, quattro femmine e due maschi.
Purtroppo, la giovane famiglia di Antonio fu drammaticamente colpita dalle epidemie di peste che funestarono Feltre e il suo territorio, epidemie ricordate dal Cambruzzi nella sua Storia di Feltre. La tragedia personale di Antonio ci è nota grazie ad una scoperta della studiosa Maria Chiara Billanovich, che ha ritrovato in un codice della Biblioteca Marciana di Venezia una nota di mano di Antonio da Romagno recante la triste elencazione delle date di nascita e di morte dei suoi figli e di quelli del fratello Biaquino, elencazione che si conclude con la registrazione della morte della moglie Bartolomea il 9 settembre 1400. 

Al servizio di Pietro Marcello

Rimasto vedovo e con l’unico figlioletto superstite, Fabio di due anni, Antonio continuò a vivere nella sua casa di Formegàn, cercando sollievo in Dio, negli studi e nell’amore per la natura. In questo periodo di grande amarezza egli strinse amicizia con il vescovo di Ceneda Pietro Marcello (1376-1428). Costui si interessò per trovargli un impiego dignitoso al servizio di un patrizio veneziano che stava per assumere un incarico governativo nell'isola di Creta. Ma Antonio confessò all'illustre amico di non sentirsela di accettare l'incarico. Il vescovo gli propose allora di passare al suo servizio, nel castello di San Martino di Ceneda, come istitutore dei suoi fratelli minori Girolamo, Lorenzo e Valerio. Antonio accettò e nel 1403 si trasferì a Ceneda, manifestando la sua gratitudine a Pietro Marcello.
Esauriti i suoi compiti a Ceneda, nel 1404 Antonio fece ritorno a Formegan, dove continuò a dedicarsi agli studi e alla scrittura. Ma la morte lo sorprese nel 1409, a soli 49 anni, mentre stava ultimando un poemetto dal titolo De Paupertate (Codice Vaticano 5223). A margine dello scritto, rimasto incompiuto, qualcuno annotò: "Non processit ulterius in hoc laudabili opuscolo Antonius de Romagno morte preventus, cuius anima requiescat in gloria". 

Le false orazioni

Nel corso del suo impegno alle dipendenze del vescovo di Ceneda, Antonio da Romagno ricevette da Pietro Marcello i testi frammentari di quattro orazioni, attribuite una a Eschine, una a Demade e due a Demostene, che trattavano delle condizioni imposte da Alessandro il Grande agli Ateniesi dopo la distruzione di Tebe nel 335 a.C.
Nella lettera di accompagnamento del 1403 Pietro Marcello si mostrò convinto della loro autenticità e ciò trasse in inganno anche Antonio, che si prodigò per diffonderle, non rendendosi conto che si trattava della riproposizione di testi già ritenuti apocrifi nel III secolo d.C.
Così le quattro orazioni fasulle ebbero una massiccia circolazione manoscritta e, a partire dal 1481, anche a stampa. La loro versione in latino fu persino attribuita a Cicerone.
Ad accorgersi della "bufala" fu Lorenzo Valla (1407-1457) che aveva già smascherato falsi ben più celebri, come la Donazione di Costantino e la corrispondenza mai esistita tra Seneca e San Paolo. Ma le false orazioni continuarono ad essere pubblicate da editori ignari e ad essere citate come autentiche per tutto il Cinquecento.

Il castello di San Martino a Ceneda (oggi Vittorio Veneto).

Pietro Marcello, vescovo di Ceneda e di Padova (1376-1428)