L'Economia

La manifattura della seta

A partire dal Quattrocento, nel territorio di Colmirano, così come in tutto il Pedemonte Veneto, si sviluppa anche la manifattura della seta. La produzione della materia prima è decentrata presso le famiglie contadine, che da maggio a luglio allevano i bachi da seta e poi vendono i bozzoli alle filande. La forza lavoro stagionale impiegata nelle filande proviene anch'essa dalle famiglie contadine, così come quella impiegata nelle tessiture. Nel Seicento la manifattura della seta e il suo indotto garantiscono circa un terzo del reddito delle famiglie dell'area.

La nascita del settore

La manifattura della seta iniziò a svilupparsi a Venezia a metà del Trecento e nella Terraferma nel Quattrocento con i filatoi a mano. Due impulsi successivi allo sviluppo del settore vennero prima, all'inizio del Cinquecento, con l'introduzione dei filatoi-torcitoi mossi dall'energia idraulica e poi, all'inizio del Seicento, con l'adozione dei primi filatoi-torcitoi detti "alla bolognese", anch'essi azionati dall'energia idraulica. I filatoi-torcitoi idraulici erano chiamati "mulini da seta".
Grazie all'energia idraulica e alle dimensioni, i filatoi-torcitoi alla bolognese erano in grado di produrre filati più sottili, uniformi e resistenti e in maggiore quantità. I primi filatoi-torcitoi alla bolognese furono introdotti nel 1604 da Ottavio Malpigli di Modena che ottenne dalla Repubblica Serenissima una licenza ventennale per costruirne prima uno a Padova e poi uno a Feltre. 

Trattura della seta dai bozzoli (Pietro Ronzoni, Filanda, 1825)

La manifattura cittadina

La nuova tecnologia introdotta con i filatoi-torcitoi alla bolognese stentò ad affermarsi, a causa dell'atteggiamento protezionistico delle corporazioni delle arti e delle manifatture cittadine veneziane che, non disponendo di energia idraulica, potevano utilizzare esclusivamente filatoi a mano. Quindi premevano sul governo perché emanasse provvedimenti protezionistici a tutela delle filature cittadine. Il problema della produzione dei tessuti non si poneva, essendo la tessitura consentita solo alle tessorìe cittadine.
La pressione del settore serico cittadino fu tale da impedire, in un primo tempo, la diffusione dei mulini da seta nella Terraferma. Nel 1635 la tecnologia più diffusa era ancora quella dei filatoi a mano, mentre i filatoi idraulici erano una ventina e quelli alla bolognese erano ancora solo i due impiantati dal Malpigli. Questi ultimi, pur essendo in grado di garantire produzioni elevate e di elevata qualità, erano costretti a lavorare a ritmo ridotto a causa della mancanza di domanda. Le tessorìe veneziane, al fine di impedire la nascita di una concorrenza in Terraferma, preferivano persino importare filati di seta dall'Emilia con una spesa complessiva di oltre 300 mila ducati all'anno.

Torcitoio circolare ad azionamento manuale

La manifattura in Terraferma

La situazione cambiò grazie alla lungimiranza dei savi alle mercanzie, che emanarono provvedimenti che non solo liberalizzavano ma incentivavano la produzione di filati in Terraferma con i filatoi alla bolognese, ed eliminarono dagli statuti delle arti il divieto di esercitare contemporaneamente l'arte della filatura e quella della tessitura.
Grazie a questi provvedimenti, nel 1646 i mulini da seta alla bolognese impiantati in Terraferma erano diventati una quindicina, tra i quali nel Pedemonte uno a Feltre e uno a Valdobbiadene. Si trattava di investimenti molto onerosi: il mulino da seta impiantato a Vicenza lungo il Bacchiglione dalla famiglia Lazzari costò circa 10 mila ducati d'oro. Ma le arti e le manifatture cittadine continuavano a premere per l'adozione di norme protezionistiche.

Schemi di torcitura e nomenclatura dei filati in seta
Filatoio-torcitoio idraulico alla bolognese (Museo del Patrimonio Industriale, Bologna)

Le esportazioni

Nel 1654 la produzione di filati di seta della Terraferma veneta era ormai sufficiente a garantire l'approvvigionamento di tutte le tessiture veneziane, che a loro volta, grazie all'aumentata qualità dei filati, avevano migliorato la qualità dei tessuti, tanto che la "pannina d'oro e seta" veneziana non aveva rivali all'estero.
Il governo veneziano, ancora una volta su pressione delle manifatture cittadine, ritenne di dover vietare l'esportazione dei filati prodotti in Terraferma per non favorire la concorrenza straniera, escludendo in tal modo le manifatture della Terraferma dal mercato estero. Ma nel 1665 la produzione di filati era cresciuta tanto da non poter più essere assorbita interamente dalle tessiture veneziane e i produttori di filati chiesero con insistenza di poter esportare la produzione in eccesso. Il permesso fu concesso nel 1670 a fronte del pagamento di un dazio, onere che fu abolito due anni dopo. Così, accanto alle esportazioni dei tessuti prodotti nella capitale, crebbero anche le esportazioni dei filati prodotti in Terraferma.

Telaio a mano del Settecento (Tessuti Luigi Bevilacqua, Venezia)

Lo sviluppo dell'indotto

All'inizio del Settecento nel Pedemonte vicentino e trevisano si erano formati veri e propri distretti serici a Vicenza, Marostica, Bassano e Feltre, che esportavano regolarmente i loro filati a Venezia, in Olanda e in Inghilterra.
Ma gli stessi distretti avevano iniziato a produrre e ad esportare anche tessuti in seta. Inoltre, accanto alle attività dei filatoi e delle tessorìe,  nella Terraferma si erano ormai affermate come indotto anche la bachicoltura e la trattura del filo (estrazione dai bozzoli in acqua calda).
Tutte queste attività che si svolgevano ordinariamente nelle abitazioni dei contadini, contribuendo per circa un terzo al reddito delle famiglie.
Il settore serico iniziò così ad assumere un assetto industriale di tipo policentrico e diffuso, con un proprio indotto e improntato al libero accesso ai mercati.

Tessuti veneziani in seta cangiante immortalati in un dipinto di Paolo Veronese