L'Economia

I soldi della Serenissima

La monetazione della Repubblica Serenissima, basata sui ducati (chiamati zecchini a partire dal XVI secolo), sulle lire, sui soldi e sui denari, ebbe caratteristiche del tutto peculiari. La stratificazione delle monete in uso nelle diverse epoche storiche determinò un sistema monetario piuttosto complesso, che si complicò ulteriormente in seguito alla svalutazione della moneta dovuta alla progressiva contrazione dei traffici mercantili da e verso l'Oriente e alle enormi spese militari dovute alle eterne guerre contro i Turchi per la difesa delle colonie.

Lire, soldi e denari

Nel 1270 nella Repubblica Serenissima gli scambi commerciali interni erano regolati in lire, soldi e denari.

La lira veneziana derivava dalla lira (“libra”) istituita nel IX secolo da Carlo Magno ed equivaleva a 20 soldi ovvero a 240 denari, poiché 1 soldo valeva 12 denari. Era anche chiamata “lira di piccoli” perché era composta di 240 “denari piccoli”, da non confondersi con i “denari grossi”, usati in precedenza, ciascuno dei quali valeva 26 denari piccoli. 

Nella pratica, la lira e il soldo esistevano solo di nome, poiché l’unica moneta effettivamente coniata era il denaro o denario. 

La prima lira fisica fu coniata solo nel 1472 sotto il doge Nicolò Tron e da lui prese il nome di “lira Tron” o “trono”. 

La lira Tron conteneva 6,66 grammi d'argento al titolo di 948/1000 e, come si usava allora per tutte le monete, aveva un valore nominale pari al valore dell'argento in essa contenuto. Il valore della lira veneta seguiva dunque le variazioni del prezzo di mercato dell'argento, che cresceva più dell'economia veneta. Per questo motivo fu coniata fino al 1797 con un contenuto d'argento progressivamente decrescente.

La prima lira veneziana ("lira Tron" o "trono", dal nome del doge in carica) coniata nel 1472 sotto il doge Nicolò Tron

Ducati e zecchini

Fin dal 1284,  per gli scambi con l'estero Venezia utilizzò il ducato d’oro, coniato per la prima volta sotto il doge Giovanni Dandolo ed equivalente in peso al fiorino di Firenze, al genovino di Genova e al solido bizantino. 

Il ducato, che dalla metà del Cinquecento sarà chiamato anche zecchino (perché coniato dalla zecca),  conteneva 3,5 grammi d’oro al titolo di 986/1000. Nel 1472, quando fu coniata la lira Tron, il ducato equivaleva a 6 lire e 4 soldi, ovvero a 124 soldi. Ma in ambito mercantile si continuò a fare riferimento anche ai "denari grossi", ai "soldi grossi" e alla "lira di grossi". Quest'ultima equivaleva a 62 lire di piccoli, ovvero a 10 ducati d’oro.

Con questa stratificazione, a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento il sistema monetario veneziano era piuttosto complicato e richiedeva una certa ginnastica mentale. Le grandi partite, ovvero i conti dello stato e del grande commercio, si tenevano in lire, soldi e denari di grossi, oppure in ducati d'oro. Il controvalore in ducati poteva essere calcolato in tre modi diversi: il “ducato a moneta” valeva 6 lire, ovvero 120 soldi; il “ducato corrente” valeva 6 lire e 4 soldi, ovvero 124 soldi; infine, il ducato d’oro, ovvero la moneta d’oro fisica, era chiamata “ducato d’oro in oro”.

Il primo ducato veneziano coniato intorno al 1202 sotto il doge Giovanni Dandolo. In seguito il ducato sarà chiamato zecchino

La svalutazione: ducati e "ducatelli"

Nella monetazione veneziana le cose si complicarono ulteriormente nel  Cinquecento a causa della svalutazione dovuta alla guerra cambraica, alle guerre contro i Turchi e al progressivo deteriorarsi dell'economia della Serenissima. Mentre nel 1284 la lira veneziana corrispondeva a circa  1,46 grammi d’oro puro, nel 1797 arriverà a corrispondere a soli 0,16 grammi d’oro puro, con una svalutazione reale di circa il 90% del valore iniziale.  

Verso la fine del Cinquecento la svalutazione convinse il governo veneziano a coniare altre monete: nel 1562 comparve il ducato d’argento, chiamato anche "ducatello", che conteneva 5 grammi d’argento puro e valeva 6 lire e 4 soldi, ovvero il valore iniziale del ducato d'oro.  

Nel Seicento e nel Settecento, sempre a causa della svalutazione, il ducato d'oro fu coniato con un contenuto in oro sempre minore ed ebbe un controvalore in lire sempre maggiore. Nel 1638 il ducato aureo conteneva 0,23 grammi d’oro puro e valeva 15 lire; nel 1739 conteneva solo 0,16 grammi d’oro puro e valeva ben 22 lire.  

Ducato d'argento (ducatello) del 1660

Le monete straniere: svanzeghe, franchi e schei

Dopo la caduta della Serenissima (12 maggio 1797) lo zecchino aureo sparì nelle tasche dei Francesi e la municipalità giacobina coniò il cosiddetto “tallero democratico”, contenente solo 2,5 grammi d’argento puro e avente un controvalore di 10 lire. In seguito la monetazione fu controllata, alternativamente, dai Francesi e dagli Austriaci fino all'annessione del Veneto al Regno d'Italia (1866). 

Le monete straniere in uso in questo periodo produssero alcuni vocaboli particolari utilizzati dai Veneti per indicare il denaro. Dalla moneta austriaca da 20 kreuzer, chiamata anche zwanziger (da zwanzig, venti) derivò l’uso veneto di chiamare i soldi “svanzeghe”. Altra denominazione veneta dei soldi è “franchi”, che deriva dal nome dell’imperatore Francesco Giuseppe, presente sulle monete nella forma abbreviata FRANC. L’uso veneto di chiamare i soldi “schei” deriva invece dalle monete austriache in rame che recavano la scritta scheidemünze, che significa moneta spicciola. 

"Franchi" e "Schei"