L'Economia

La giustizia della Serenissima

In epoca veneziana, il territorio di Colmirano, come tutto il territorio di Treviso, era sottoposto alla giurisdizione del governo della Repubblica Serenissima e doveva osservarne le leggi. La giustizia veneziana era considerata imparziale e i magistrati incorruttibili. La legge era applicata con la massima severità a malfattori e delinquenti di qualsiasi provenienza ed estrazione sociale, senza alcuna possibilità di deroga. Le funzioni di polizia erano svolte, sotto il controllo dei Rettori e dell'Ufficio del maleficio, dalla milizia territoriale e dalla milizia a cavallo (i cosiddetti "cappelletti").

La vita difficile del meriga

In epoca veneziana il meriga di ogni villaggio aveva, tra gli altri, l’obbligo di vigilare sul comportamento dei singoli e di denunciare i reati di cui veniva a conoscenza, in maniera diretta o per segnalazione di terzi. Analogo obbligo aveva anche il chirurgo che operava nella zona, che doveva segnalare tutti i casi di ferite sospette.
L’obbligo di vigilanza e di denuncia non riguardava solo il territorio della comunità ma si estendeva all’area compresa entro le dieci miglia intorno al villaggio. Eventuali fatti criminali dovevano essere seguiti dal meriga per l’intero giorno successivo all’evento se si trattava di risse o discussioni violente, o per i tre giorni successivi se si trattava di omicidi, ferite a rischio di morte, archibugiate e colpi di arma da taglio.

La denuncia del meriga era trasmessa all’Ufficio del maleficio e dava l’avvio alle indagini e alla macchina processuale. 

La rissa in una taverna, dipinto ad olio del Seicento.

La milizia territoriale e i "cappelletti"

La presenza delle forze di polizia nel territorio era molto limitata ed era affidata alla milizia, le cosiddette “ordinanze” o “homeni de campagna”, militari di leva arruolati attraverso le cosiddette cernide. La milizia territoriale presente nel territorio di Treviso era costituito da 700 uomini provenienti dal territorio suddivisi in quattro compagnie. L'organo di comando era costituito da un capitano, un sergente, sei capi di cento (centurioni) e ventiquattro caporali.
La milizia territoriale era integrata a livello centrale da un corpo di 500 cavalleggeri distaccati presso i Rettori. I militi di questa sorta di polizia a cavallo, erano mercenari reclutati in area dalmata ed erano chiamati “cappelletti” a causa del loro caratteristico copricapo.
Date le loro origini extraterritoriali e il loro carattere mercenario, i "cappelletti" si comportavano talvolta in modo violento commettendo anche soprusi nei confronti della popolazione. 

Ordinanza 
"Cappelletto" della milizia a cavallo

Il processo e la condanna

Dopo la conclusione dell’attività istruttoria, che non doveva protrarsi oltre gli otto giorni, si svolgeva il processo che si concludeva con la sentenza. Le pene comminate dal Tribunale del maleficio andavano dall’ammenda pecuniaria, alle pene corporali, alla pena detentiva, alla condanna al remo (ossia alla “galera”), al bando temporaneo o perpetuo dal territorio nel quale si era commesso il reato fino alla pena di morte.
A parte la pena di morte, la condanna più pesante era indubbiamente quella “alla galera”, ovvero a remare sulle galere commerciali o militari veneziane, a bordo delle quali il condannato al remo aveva i piedi incatenati al banco. La condanna al remo fu istituita nel 1545 per ovviare alla carenza di schiavi e di marinai disposti ad accettare dietro pagamento il duro mestiere di rematore. La condanna al remo poteva durare dai 18 mesi ai 10 anni e derivava spesso dalla commutazione di un'altra pena. Ai condannati a morte, ad esempio, era proposta la commutazione della pena a dieci anni di galera.

Galera veneziana 

Il reato a Colmirano nel Seicento

Uno studio svolto da Lucio De Bortoli (*) evidenzia che tra il 1636 e il 1671 nelle quattro comunità di Alano, Colmirano, Campo e Fener l’Ufficio del maleficio punì un totale di 120 reati, rinviando a giudizio 207 imputati. Gli imputati sono in massima parte di Alano (52%) con Colmirano al secondo posto (26%), Fener al terzo (12%) e Campo al quarto (11%).
Nell’80% dei casi i reati sono delitti contro la persona (omicidi, aggressioni, ferite, ingiurie, minacce, percosse, risse e stupri), nell’11% dei casi sono delitti contro le cose (furti e danneggiamenti) e nel 9% dei casi sono reati di altro tipo.
Tra i reati più gravi, nel periodo osservato si registrano 16 omicidi (in media circa uno ogni due anni) e 40 tra ferimenti e aggressioni. I reati contro le cose sono in massima parte furti nelle abitazioni o nei campi, danni alle colture, violazioni di confini e insolvenze.
I 120 reati oggetto dello studio sono puniti dal Tribunale del maleficio con sanzioni di tipo pecuniario nel 43% dei casi, bandi temporanei o perpetui nel 30% dei casi e pene detentive di diversa entità nel 24% dei casi. Le condanne al bando, molto diffuse, colpivano essenzialmente gli imputati che non si presentavano al processo, che erano circa un terzo dei rinviati a giudizio. Al bando era generalmente associata una taglia per la cattura e, nei casi più gravi, una condanna all’impiccagione. 
L’alto numero dei contumaci era dovuto al fatto che i colpevoli preferivano darsi alla macchia piuttosto che affrontare il giudizio. Se condannati, rimanevano per un po’ “al largo” press parenti o conoscenti per poi rientrare in paese, contando sulla lontananza delle forze di polizia, sulla protezione di amici e parenti e talvolta anche sulla benevola “distrazione” del meriga.

(*) Lucio De Bortoli, Il reato nel Seicento, in Alano - La memoria e l’immagine di una comunità,  Comune di Alano di Piave, 1993.

Venezia. Bocca per la presentazione di denunce anonime.

Venezia, il carcere dei Piombi